Benedizione “Urbi et Orbi” di Papa Francesco – 28 marzo 2020

Ieri sera, 28 marzo 2020, il papa ha dato un appuntamento mondiale chiedendo a tutti i fedeli di unirsi spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione e le parole di papa Francesco hanno risuonato davanti alle deserte braccia del colonnato di San  Pietro bagnato dalla pioggia.

Accanto a se Francesco ha voluto l’icona originale della Salus Populi Romani, l’ effigie mariana della Basilica di Santa Maria Maggiore che secondo la tradizione fu realizzata da san Luca e il Crocifisso dei Miracoli di san Marcello al Corso, diventato oggi il simbolo della pandemia del Coronavirus (dopo l’atto di devozione compiuto da Papa Francesco il 15 marzo scorso) e alla cui intercessione prodigiosa si attribuisce la sconfitta della peste che nel 1500 mise in ginocchio Roma e non solo.

Nel silenzio vuoto della piazza, dal sagrato della Basilica vaticana, papa Francesco ha dato voce a una invocazione comune in questo tempo di emergenza sanitaria di dimensioni planetarie.

«Da settimane sembra che sia scesa la sera… presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati… ma tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti».

Con la lettura del Vangelo, la supplica davanti al Santissimo Sacramento esposto sull’altare nell’atrio della Basilica e infine, l’indulgenza plenaria, col rito della benedizione eucaristica “Urbi et Orbi”, come a Natale e Pasqua, Papa Francesco ha pregato per tutti noi intercedendo con Dio Padre affinché possa cessare la spietata pandemia del Covid-19 in atto nel mondo, nella speranza che l’umanità possa trarre insegnamento da questa amara esperienza e possa redimersi per gli atti di profondo egoismo nei confronti del creato e del prossimo che caratterizzano la nostra era.

Riprendendo il noto episodio raccontato nel Vangelo di Marco, quello di Gesù che calma la tempesta:

«Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città – ha commentato – si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’ aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti – afferma ancora il Papa – come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa».

Ha poi parlato di come questa tempesta abbia smascherato e lasciato scoperte le false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito «le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità… i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine» e ha lasciato «scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».

E riprendendo ancora il passo evangelico:

«Maestro, non t’importa che siamo perduti?» papa Francesco si è soffermato su quel «Non t’importa» detto dai discepoli pensando «che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro». «Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore – ha spiegato il Papa – Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati».

«È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: “che tutti siano una cosa sola”».

«Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza – sottolinea nella sua meditazione il Papa – avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti».

La supplica si è così conclusa con una particolare benedizione dal luogo «che racconta la fede rocciosa di Pietro».

«Da qui vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori… non lasciarci in balia della tempesta».

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